I luoghi della Classense
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I luoghi della Classense
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Aula Magna
L'Aula Magna è l'antica biblioteca del monastero. Fu progettata e realizzata tra il 1707 e il 1714 dal monaco e architetto Giuseppe Antonio Soratini su committenza dell’abate Pietro Canneti. È preceduta da un elegante vestibolo, completato nel 1717 e poi rivisto tra nel 1777-'78 da Camillo Morigia, architetto della tomba di Dante. Dalla sommità della scala, dando le spalle all'ingresso, si vede il ritratto dell'abate Canneti (1659-1730), coltissimo monaco e vero rifondatore della biblioteca. Lo spettacolare ambiente è concepito come un tempio della conoscenza: oltre i due ordini di scansie librarie, opera del monaco ed ebanista Fausto Pellicciotti (ca. 1670-1730), si trovano i ritratti di camaldolesi illustri per la loro cultura, i clipei con insegne di accademie ravennati e quattro grandi statue in stucco di santi dell'ordine. Sul soffitto spicca l'affresco con il Trionfo della Divina Sapienza (1714), di Francesco Mancini, autore anche dei due grandi dipinti sopra e di fronte all'ingresso: "L'unione della Chiesa Latina con la Greca compiuta da Ambrogio Traversari" e "Il monaco Graziano offre il libro dei Canoni alla Giustizia sotto lo sguardo di papa Gregorio IX" (1713). Autore dei delicati stucchi è Antonio Martinetti (1675-1730). L’Aula Magna ospita inoltre due grandi globi, l’uno terrestre e l’altro celeste, donati alla città da Vincenzo Coronelli (1650-1718). -
Chiesa di San Romualdo
Finita di erigere nel 1632, la chiesa di San Romualdo fu progettata dall'architetto ravennate Luca Danesi per essere annessa al monastero camaldolese di Classe. A seguito delle requisizioni napoleoniche del 1798, la chiesa fu spogliata di gran parte dei suoi arredi e delle opere d'arte in essa contenute (molte andate poi perdute). Nel 1825 la chiesa divenne di proprietà del Comune di Ravenna, che la trasformò dapprima in un museo (1877) e successivamente in una palestra (1920). A partire dal 1997, fino al 201?, la chiesa ha ospitato il Museo del Risorgimento. Progettata con pianta a croce latina, la chiesa vive un particolare contrasto tra l'austerità della facciata, semplice e priva di decorazioni, e l'interno progettato in stile barocco, decorato con raffinati affreschi di Giovanni Battista Barbiani. -
Chiostro d'ingresso
L'accesso in biblioteca avviene dal chiostro d’ingresso, costruito a partire dagli anni Trenta del Cinquecento e completato con la facciata barocca di Giuseppe Antonio Soratini (1720), dietro la quale si cela la Sala Dantesca. Il chiostro è formato da 24 colonne in pietra d’Istria, alcune delle quali riportano il monogramma abbaziale "CLS" e simboli quali la mitria e il pastorale. -
Chiostro Grande
Il Chiostro maggiore è stato edificato tra il 1611 e il 1620 su disegno dell'architetto toscano Giulio Morelli, architetto del Granduca di Toscana. Il chiostro ha 32 colonne doriche in pietra d'Istria e un elegante pozzale centrale, di forme tardo barocche, realizzato nei primi anni del Settecento dal ravennate Domenico Barbiani, su disegno di Gian Paolo Pannini (1691 - 1765), architetto e pittore attivo soprattutto a Roma. È il chiostro principale dell'antico monastero e l'ultimo, in ordine temporale, a essere stato realizzato. -
Corridoio Grande
Il Corridoio Grande fu costruito nel XVII secolo. Vi si affacciava una parte delle celle monastiche e dava accesso ad alcuni spazi di prestigio, come l'appartamento dell'abate e la biblioteca (Aula Magna). I due affreschi parietali, all'inizio e in fondo al vasto ambiente, sono di Giovanni Battista Barbiani e raffigurano san Benedetto in trono e san Romualdo (1632 circa). Alle pareti sono presenti dipinti di varia provenienza, giunti in biblioteca dopo la cacciata dei monaci (1798) e a partire dal XIX secolo. Si segnala, nella prima parte del percorso, un ciclo con personaggi importanti dell'ordine benedettino e, nella seconda, una galleria di eruditi e scrittori ravennati, da Agnello (IX sec.) ad Antonio Zirardini (1725-1785). In fondo al Corridoio è visibile la grande mappa di Ravenna realizzata da Gaetano Savini nel 1903. Il Corridoio Grande ospita oggi mostre legate alle collezioni della biblioteca. -
Manica Lunga
La Manica Lunga o Sala degli otto pilastri, anticamente adibita a cantine e depositi dell'abbazia, accoglie oggi una sala espositiva realizzata nel 1983 su progetto dell’architetto Marco Dezzi Bardeschi. Il pavimento, ispirato ad una cartografia immaginaria, fu ideato dalla mosaicista Maria Grazia Brunetti. -
Sala Dantesca
La Sala Dantesca era in origine il refettorio del monastero e fu completata nel 1580. Oltre al monumentale ingresso, al portale scolpito e agli stalli lignei, si segnala il grande dipinto sul fondo, Le nozze di Cana, opera magistrale di Luca Longhi (1507-1580). Il soggetto rappresentato è tipico per un refettorio e nell'esecuzione di Longhi offre uno spaccato della società ravennate del Cinquecento, ritraendo personaggi allora viventi tra i quali si riconosce Barbara Longhi (1552-1638), famosa pittrice e figlia di Luca, rappresentata nella figura femminile che si volge verso gli spettatori. Alla bottega dei Longhi e in particolare a Francesco (1544-1618), fratello di Barbara, si deve l’affresco con il Sogno di San Romualdo, dipinto sul soffitto. Dal 1920 la sala è dedicata al Sommo Poeta. -
Sala del Mosaico
Lo straordinario mosaico pavimentale risale al VI secolo e proviene dalla basilica dedicata al vescovo Probo, che un tempo sorgeva a Classe. L'edificio cadde in disuso e scomparve entro il primo millennio d.C. e fu solo nel 1875 che, dopo il loro casuale rinvenimento, si decise di recuperarne i mosaici pavimentali, ricomponendoli poi nell'attuale collocazione (1890). Il mosaico misura circa 90 metri quadrati ed è ascrivibile a maestri di origine orientale. Nel pannello centrale è raffigurato un vaso da cui escono tralci di vite, chiara allusione cristologica; sopra di esso è collocato un pavone, simbolo di Resurrezione e di vita eterna. Gli altri due pannelli presentano una decorazione a figure geometriche entro nastri e ornamenti intrecciati. -
Sala delle Arti
Seconda tra le sale superiori progettate dal Morigia, subito successiva alla Sala delle Scienze, la Sala delle Arti prosegue il progetto architettonico che mira a dividere, ma allo stesso tempo a connettere, i saperi dell'uomo di scienza settecentesco. L'apparato decorativo, oltre agli affreschi del soffitto di gusto neoclassico, è composto (come nella sala precedente) da rappresentazioni di monaci e personaggi noti dell'ordine camaldolese. -
Sala delle Scienze
Prima delle sale superiori progettate dall'architetto Camillo Morigia, la Sala delle Scienze si affaccia direttamente sulla monumentale Aula Magna. Al centro del soffitto domina l'affresco del pittore siciliano Mariano Rossi "La Fama chiama la Virtù al tempio della Gloria". A completare l'apparato decorativo, dodici ritratti di monaci e abati camaldolesi. -
Sala Luigi M. Malkowski
Intitolata a Luigi M. Malkowski (1953-2003), già vice-direttore della Biblioteca Classense, la sala occupa gli spazi dell'antico ospizio/ospedale camaldolese, le cui testimonianze sono riscontrabili nei frammenti di affreschi che decorano le pareti. Inaugurata nel 2013, è oggi la principale sala studio della biblioteca. -
Sala Muratori
Antica sacrestia dell'adiacente chiesa di San Romualdo, è oggi una sala conferenze dedicata al direttore della biblioteca Santi Muratori (1874-1943). Tra i dipinti che la adornano spicca la maestosa Resurrezione di Lazzaro di Francesco Zaganelli (1465-1532), pala d'altare un tempo collocata in San Romualdo, citata e ammirata anche da Giorgio Vasari. Il grande portale che la fronteggia, alle spalle di chi entra in sala, riporta la data del 1660 ed è composto da due antiche e rare colonne in porfido, provenienti da Classe e che rimandano al passato imperiale di Ravenna. Gli affreschi all'ingresso sono di Cesare Pronti (1626-1708), gli altri dipinti sono la Madonna con il Bambino tra due Santi, di Ruggero Loredano (1535-1609 circa), il San Bartolomeo di Francesco Longhi (1544-1618) e un Santo monaco benedettino di Giovan Battista Barbiani (1593-1650). -
Sala Olschki
Ultimo ambiente della biblioteca, fu allestita nel 1908 come "Sala Dantesca" ed è oggi dedicata al grande editore e bibliofilo Leo Samuel Olschki (1861-1940). Fu pensata per accogliere l'importante fondo librario a tema dantesco ceduto al Comune di Ravenna dallo stesso Olschki nel 1905. Si trattava allora di una delle più importanti biblioteche private a soggetto dantesco. Il soffitto fu decorato dal pittore Enrico Piazza (1864-1945), che riprodusse entro dei clipei laterali i versi della Commedia che si riferiscono a Ravenna. -
Vestibolo dell'Aula Magna
L’ambiente è frutto di una serie di ristrutturazioni condotte nel corso del Settecento, anche se, già nel Seicento, esisteva una sorta di vestibolo di accesso all’attuale Aula Magna. Il progetto per il nuovo atrio si dovette a Giuseppe Antonio Soratini: i lavori iniziarono dopo quelli per la biblioteca e insieme all’architetto lavorò la stessa, collaudata squadra di artefici reclutati per le opere precedenti. Tra il 1714 e il 1716 si terminò lo scalone e vennero realizzati il monumento a Canneti e la porta lignea. Il monumento a Canneti, visibile sulla parete di fronte al portale, è costituito da una iscrizione commemorativa e da un ritratto dell’abate sorretto dalla Fama e da due putti: le figure possono essere attribuite alla bottega di Antonio Martinetti, già impiegata per la decorazione in stucco in Aula Magna. Lo scalone fu completato con la «Balaustrata» realizzata dal monaco e fabbro Natale Pizzerani in collaborazione con il confratello Colombano Angelini che si occupò anche delle vetrate per le finestre. Fausto Pellicciotti lavorò gli intagli della porta con complessi insiemi di strumenti forse allusivi ai diversi campi del sapere. Nel 1747 il vestibolo fu arricchito con il monumento al matematico camaldolese Guido Grandi (1671-1742): commissionato allo scultore bolognese Angelo Gabriello Piò, fu eseguito dal figlio Domenico. Questi si ispirò al monumento paterno per Luigi Ferdinando Marsili, nella chiesa di San Domenico a Bologna. Il medaglione con il profilo di Grandi è accompagnato dalle statue di Mercurio e Minerva e da simboli delle scienze matematiche e geometriche. Tra il 1777 e il 1778 il vestibolo fu rinnovato su progetto dell’architetto ravennate Camillo Morigia. A questa fase può essere presumibilmente attribuito il portale, che pare alludere alla Sapienza: sul coronamento è presente, a sinistra, la figura di Salomone, individuabile dall’iscrizione sul cartiglio «Praeposui illam regnis»; la statua a destra potrebbe rappresentare il re Davide, padre di Salomone e a lui associato come esempio di saggezza. Il cartiglio sopra l’ingresso cita, ribaltandola, la sentenza di Seneca sulla biblioteca di Alessandria. Il filosofo sostenne che fosse più adatta allo spettacolo che non allo studio ma in questo caso i camaldolesi indicano chiaramente la funzione della sala: «In studium non in spectaculum». Ai lati del portale sono posti i ritratti dei camaldolesi Giovanni Geremei (notizie 1115-1134) e Angelo D’Anna Sommariva (1340-1428) e, sulla parete di fronte, quelli di Andrea Gioannetti e Maffeo Gherardi. Gioannetti (1722-1800) fu teologo arcivescovile a Ravenna e cardinale a Bologna: il dipinto, attribuito ad Antonio Tamburini, è sorretto dalla personificazione di Bologna in veste di Minerva Felsinea. Gherardi (1406-1492) fu monaco nel monastero di San Michele in Isola e divenne patriarca di Venezia nel 1466: il ritratto è accompagnato dalla figura di Venezia con il leone di san Marco. L’esecuzione degli stucchi fu affidata a Gioacchino Sughi, di probabile formazione bolognese. Alla base dello scalone è presente un bassorilievo, forse dovuto al progetto di Morigia: il sole illumina un libro aperto, probabili simboli di un percorso illuminato dalla luce divina e reso possibile dalla lettura. -
Vestibolo della Sala Dantesca
L’ingresso alla Sala Dantesca è preceduto da un vestibolo con due lavabi in marmo rosso di Verona, decorati con una complessa simbologia religiosa e sormontati da due sculture raffiguranti san Benedetto e san Romualdo. Sulle porte lignee, realizzate entro il 1580 da Giovanni di Vincenzo e Marco Peruzzi, è scolpito un racconto incentrato sulla narrazione biblica del profeta Daniele gettato nella fossa dei leoni. Sopra il portale si osserva il simbolo dei Camaldolesi: un calice con due colombe sormontato da una stella. L'iconografia del vestibolo ricorda come i monaci, in refettorio, nutrissero non solo il corpo ma anche lo spirito attraverso l’ascolto dei testi spirituali letti durante i pasti.















